L’arrivo nella nebbia: tra accoglienza e discriminazione

Clizia
29 anni di Casoria

«Andando a lavorare in fabbrica qui erano tutti settentrionali, cioè erano tutti dello stesso paese, tutti si conoscevano fra loro, e io ero la prima meridionale che andava a lavorare lì. Dove lavoro ancora adesso. I primi giorni per me sono stati terribili. Perché anche come insegnarmi a lavorare, come si faceva, quasi come se chissà avessi qualche malattia addosso, non lo so, avevano persino paura di avvicinarsi. E per me è stato pure brutto, una brutta… Bruttissimo. Fra di loro sì, forse perché si conoscevano da anni, erano anni che lavoravano insieme, questo non lo so, però io essendo una meridionale non legavano proprio fin dal primo giorno che ci sono andata. Facevamo come attualmente facciamo cuscini per auto, cuscini, sedili. Io avevo sempre un certo timore a chiamare qualcuno, come si fa questo? perché anche la caposquadra metteva lì un lavoro e lasciava fare. Se una non lo sa fare bisogna starci insieme a insegnarci come lo si fa, no? E io avevo timore a chiedere. Io sono proprio un tipo per me stessa che piuttosto di chiedere una cosa anche che sbaglio me la faccio da sola. Però bisognerebbe forse chiedere. E rispondevano con un sì o con un no piuttosto seccate. Come per dire “non so,” “fai da te,” oppure “non m’interessi, se sbagli o se non sbagli non m’importa niente.” Cioè, c’era una certa alienanza. Fra di loro si capivano e facevano tutto, e te ti lasciavano da parte. Proprio come un muro. Allora.
Sono stata lì alla Pirelli di Brugherio fino a settembre, a settembre del ’62. Poi sono venuta qui a Sesto, alla Sapsa. E qui l’ambiente era più grande, c’era il triplo di persone, era il triplo di dove lavoravo prima, e per me c’erano anche più difficoltà. Sempre per quella cosa lì. Un po’ per il mio carattere che allora era piuttosto chiuso. Anch’io non riuscivo a collegare con le altre. Non lo so, però trovavo sempre un qualcosa che mi piaceva poco. Comunque io quando sono andata a Sesto ho trovato un po’ peggio, eh! Con una persona che son riuscita proprio a legare è stata la Ada; forse perché anche lei erano i primi giorni che lavorava lì ci siamo intese abbastanza bene, non c’era che lei era settentrionale e io meridionale, eravamo uguali. Ma là dentro c’erano sempre facce scure che si rubavano il lavoro una con l’altra. Io a queste cose qui non c’ero abituata. Per lavorare quella li rubava il lavoro a quella! per farlo prima lei; e c’era sempre un litigio dalla mattina a sera per il lavoro. Quella prende il lavoro di quella il suo lavoro più bello, il mio più brutto, insomma c’era sempre… ognuno pensava per sé, non è che facevano un po’ per uno in modo che lavorassero abbastanza bene tutte. Ognuno pensava per suo conto. L’unica che ho trovato veramente umana in Pirelli da allora è proprio la Ada.»

Testimonianza tratta da: Alasia F., Montaldi D. (1975), Corea – inchiesta sugli immigrati, pp. 364-365